Il mistero

Raccolgo in questa sezione una serie di pensieri che intendono spiegare il percorso scientifico e clinico che mi ha portato a formulare l’ipotesi che poi ho dimostrato.

Dopo esser entrato in specialità, mi sono da subito dedicato all’attività clinica e alla ricerca, intuendo che un professionista dedito alla scienza dovesse anche avere una chiara concezione dell’espressione clinica della patologia, per poi indirizzare i propri studi sulla componente molecolare.

Durante il mio secondo anno mi trovai a frequentare l’ambulatorio per la cura della vitiligine. Avendo a disposizione molti macchinari (fototerapia, microfototerapia e altro) ero certo di poter far star meglio i miei pazienti. Mi dedicai con molta passione a visitare uomini, donne e bambini affetti da vitiligine…Nei tre anni di frequenza dell’ambulatorio, mi sono passati avanti agli occhi molte persone, molte storie diverse, spesso legate alla sofferenza nell’anima che questa malattia (da molti definita solo “cosmetica”!) provoca in chi ne è affetto. E con le persone, osservavo le loro chiazze ipocromiche, diffuse un po’ ovunque ma molto frequentemente in alcuni punti caratteristici (il volto, le mani, i piedi) e spesso pluritrattate…ma ancora là, quasi a farsi beffa della scienza medica e di chi la esercita, quasi a sfidare noi dermatologi e le nostre teorie.

E così, paziente dopo paziente, macchia dopo macchia, terapia inefficace dopo terapia inefficace, iniziavo a rendermi conto che mi trovavo di fronte ad un bel mistero…davanti a me si poneva innanzi una cute assolutamente perfetta in ogni suo dettaglio…nessun arrossamento, nessun bruciore, nessuna sensazione pruriginosa, nessuna variazione nella consistenza o negli annessi, nessuna squama o papula o pomfo o altro. Una cute uguale a quella di tutti, ma tuttavia così diversa per la totale mancanza di pigmentazione. Solo un margine netto, quasi tagliato a lama di coltello, a definire un argine spesso labile all’avanzata del “bianco”.

Ma dove finivano i melanociti? Come facevano ad andarsene, senza dare nessun altro segno o sintomo…Per le mie conoscenze fisiopatologiche della cute, questo era davvero un bel mistero! Una cellula che sparisce o viene distrutta senza lasciar traccia, tra l’altro molto spesso sempre nelle stesse zone…Questo fenomeno non aveva eguali nelle patologie della pelle.

È colpa del sistema immunitario! Questa la spiegazione che sentivo in tutti i congressi! Il sistema immunitario, questa sentinella severa che si rivolta troppo spesso contro chi deve sorvegliare…ma è davvero sempre colpa sua? In medicina, nel corso degli anni, si è passati dai virus, alla genetica, al sistema immunitario…quando non si sa di chi sia la colpa, ecco che si tira in ballo il sistema immunitario. Ma se la colpa fosse davvero del sistema immunitario, perché le nostre tradizionali armi per fargli capire chi comanda davvero (vale a dire cortisonici o immunosoppressori) si rilevano inefficaci nei confronti della vitiligine? Ma era davvero così furba questa malattia, capace di non dare nessun segno di sé al di fuori dell’ipopigmentazione, di manifestarsi dove voleva e di rendere inefficaci le terapie immunosoppressive, pur avendo teoricamente una patogenesi autoimmune?

Cominciava pian piano a farsi strada nella mia mente che non fosse la malattia ad essere furba: le malattie, tutte, sono stupide. Si comportano così perché non possono fare altrimenti…siamo noi che non le capiamo! E, in effetti, col senno di poi, posso confermare che fino a quel momento non avevamo capito molto di questa patologia.

Il primo passo

Decisi a questo punto di cercare di capirne qualcosa di più.

Mi sono dedicato alla lettura di gran parte della bibliografia esistente in materia…mi stupivo come appena venisse trovata una possibile causa (per molti anni sono andati di moda gli autoanticorpi contro tutto e tutti), tale causa puntualmente fallisse la prova della riproducibilità. In sostanza, un autore trovava altissimi livelli di autoanticorpi, qualche mese dopo un altro scriveva che lui non li aveva trovati…e così via. Quando in ambito scientifico le scoperte si susseguono alle smentite, c’è sempre qualcosa che non quadra!

Continuavo ancora a chiedermi, inoltre, come mai tutti insistessero sulla patogenesi autoimmune della vitiligine, quando tutti i segni clinici e terapeutici e anche scientifici dicevano il contrario! Ebbene sì, anche gli elementi scientifici…moltissimi articoli di vari autori segnalavano come, alla prova dei fatti, non c’era da immunosopprimere un bel niente…ma, chissà perché, certe voci vengono sempre ascoltate troppo poco.

Arrivai così a maturare la convinzione che forse non si era capito molto di questa malattia. E a quel punto, mi sono comportato come sempre: se la strada segnata non mi convince, vado per la mia… dovessi anche percorrerla per primo!

Mi trovai così a pensare da quali elementi partire…se non era colpa del sistema immunitario, cosa poteva causare questa perdita di melanociti?

Guardando e visitando i miei pazienti, notavo una cosa molto semplice: i siti dove più comunemente insorgeva la vitiligine sono sedi di traumatismo. Viso, mani, piedi, occhi sono sottoposti a frizionamento quotidiano (anche di minima entità, tipo l’uso delle scarpe o pulirsi la bocca dopo aver mangiato)….e questo non poteva essere un caso! altre patologie hanno un già codificato ruolo del traumatismo (come ad esempio la psoriasi)..perché non poteva averlo anche la vitiligine ?….si, il traumatismo mi sembrava un buon punto da dove partire…rimaneva da capire perché il traumatismo facesse insorgere la vitiligine in alcuni, mentre in tutti gli altri no. Il giorno in cui realizzai questo pensiero ero felice: avevo fatto il primo passo. E forse stavolta, la strada mi avrebbe portato lontano.

Una luce nel buio

Il traumatismo mi sembrava un ottimo punto di partenza…ma come si collegava alla formazione delle chiazze ipocromiche? Come spesso accade nella vita, la soluzione era sotto il mio naso. Da una rapida ricerca su Pubmed (il database delle pubblicazioni scientifiche in campo medico) ho subito trovato un articolo a dir poco illuminante: un autore inglese aveva scoperto che se noi prendiamo la cute pigmentata di un paziente affetto da vitiligine (vicino ad una macchia già presente) e la traumatizziamo con uno spazzolino elettrico acceso appoggiato sopra per qualche minuto e se noi poi andiamo a prelevare un pezzetto di cute e lo analizziamo, troveremo dei melanociti distaccati dalla membrana basale e nel mezzo dell’epidermide.

Piccolo inciso: la struttura normale della cute vede due strati: epidermide e derma, separate da una struttura che si chiama giunzione dermo-epidermica. Su questa struttura poggiano i melanociti, che poi attraverso le loro propaggini cellulari (dendriti) trasferiscono la melanina ai cheratinociti svolgendo la loro funzione di fotoprotettori cutanei. È quindi impossibile che i melanociti si trovino normalmente nel mezzo dello strato epidermico.

Avevo un dato eccellente da cui partire, ma allo stesso tempo si apriva un altro problema…è stato scientificamente dimostrato che il traumatismo fa staccare i melanociti dalla loro sede e questo fatto li fa disperdere attraverso lo strato epidermico. Ma perché tutto questo succede solo a chi è affetto da vitiligine? Evidentemente ci doveva essere qualcos’altro, un fattore cosiddetto “primer” cioè in grado di causare questo distacco.

Avevo fatto un altro passo: il distacco dei melanociti favorito dal traumatismo (e verosimilmente anche da altri fattori, quali lo stress ossidativo e gli autoanticorpi) era il vero meccanismo che causa la vitiligine. Il distacco faceva in modo che il sistema immunitario non venisse allertato…ed ecco perché le chiazze non erano rosse o pruriginose o infiammate…ed ecco perché i vari immunosoppressori non funzionavano affatto o molto poco! I melanociti, per così dire, lasciavano la scena in silenzio, senza clamore né sussulto alcuno. Avevo quindi trovato l’arma del delitto…ma mi mancava ancora il colpevole! Il distacco…la perdita di adesività…queste parole mi frullarono per diverso tempo in testa, come una centrifuga fuori giri. Poi, all’improvviso, come spesso accade nella vita, un’intuizione…una luce nel buio…e tutto divenne chiaro!

MIA: la proteina misteriosa

Quando si cerca di capire il meccanismo che opera in una determinata patologia, credo che sia importante partire da tutti i dati a disposizione, focalizzando le energie su una ipotesi. Cercare tanto per buttare via un po’ di soldi (pubblici o privati che siano), è a mio parere inutile. Il lavoro scientifico nasce prima nella testa del ricercatore, poi in laboratorio! Ed è proprio su questa base che ho cominciato ad elaborare i dati a mia disposizione.

Nell’intricato puzzle della vitiligine avevo tralasciato un fattore…è noto che il melanoma maligno (la forma tumorale cutanea che deriva dai melanociti) si può associare alla comparsa di una forma di estesa vitiligine, in particolare nella sua forma metastatica. Volevo capire quale fosse il legame ad oggi ancora non spiegato di queste due osservazioni e stavo come al solito cercando su “Pubmed” articoli rilevanti al merito. Il mio occhio cadde su un nome che non avevo mai sentito prima…e che da allora non potrò mai più dimenticare. Un articolo parlava in una certa proteina denominata MIA, un acronimo dal termine inglese “Melanoma Inhibitory Activity”: una proteina che inibisce il melanoma. La cosa mi incuriosì parecchio: questa proteina, innanzitutto, non inibiva affatto il melanoma! Come spesso accade in ambito scientifico, una volta scoperta una molecola le si dà un nome collegato alla funzione che sembra esercitare, anche se poi si scopre che fa tutt’altro! Ed è questo il caso della proteina MIA: venne scoperta molti anni fa e sembrava che, se aggiunta a cellule in coltura di melanoma, le facesse in qualche modo diventare più piccole, e da qui le venne affibbiato il nome di molecola con attività inibitoria nei confronti del melanoma.

Furono poi gli splendidi studi della Prof.ssa Anja Katrin Bosserhoff dell’istituto di Patologia dell’Università di Regensburg in Germania a chiarire il ruolo di tale proteina nell’ambito del melanoma. In pratica questa proteina aveva la capacità di aumentare la diffusione metastatica del melanoma (altro che inibirlo!) e infatti i livelli ematici di MIA sono spesso molto aumentati nei pazienti con melanoma metastatico. Ma fin qui, di vitiligine nemmeno l’ombra!

Ma come agiva il MIA ? Letto il meccanismo d’azione, trattenni il fiato. MIA ha la capacità di rompere i legami di adesione esistenti tra melanocita maligno e l’ambiente circostante, legami che si attuano mediante delle molecole di adesione chiamate integrine alpha5beta1 (le “integrine” sono una famiglia molto vasta di molecole di adesione, e le alpha5beta1 sono una sottofamiglia). Quindi il melanocita maligno ad un certo punto produceva tale MIA, la quale gli si rivoltava contro, tagliando i suoi legami e favorendo in questo modo il suo distacco dal sito primario, permettendo la diffusione attraverso il circolo linfatico ed ematico e quindi la formazione delle metastasi a distanza.

Quindi, avevo appena realizzato che esisteva una molecola capace di tagliare le connessioni del melanocita (in questo caso, maligno) e di favorirne il distacco. L’indizio era buono, ma occorreva verificare.

Col cuore in gola per l’emozione mi misi a scartabellare articoli su articoli: sono presenti le integrine alpha5beta1 anche nei melanociti normali? Sì, sono presenti, ben espresse nei dendriti. La proteina MIA è presente nella cute sana? No, nessuna traccia. Allora…un bel respiro e vediamo se ho capito bene…Esiste una molecola chiamata MIA, capace di provocare il distacco dei melanociti neoplastici attraverso il “taglio” di alcune molecole di adesione chiamate “integrine alpha5beta1”. Queste stesse molecole di adesione sono fisiologicamente espresse nella cute normale e fanno sì che i melanociti si attacchino attraverso di esse alla membrana basale. Il meccanismo patogenetico che spiega tutte le caratteristiche cliniche della vitiligine si basa non sul sistema immunitario, bensì su un distacco dei melanociti dalla membrana basale, accentuato da alcune concause e reso operativo da un fattore ad oggi sconosciuto.

Una ad una, tutte le tessere stavano tornando in ordine: ogni cosa aveva il suo posto, ogni punto oscuro aveva la sua spiegazione. Finito il puzzle, lo guardai dall’alto. C’era scritto: il MIA è la causa della vitiligine…..Devi solo dimostrarlo!

Il resto è racchiuso in un articolo scientifico: Bordignon M e al. “Role of alpha5beta1 integrin and MIA (melanoma inhibitory activity) in the patogenesis of vitiligo” Journal of Dermatological Science – 2013.

Una piccola conquista per un giovane dermatologo dedito alla scienza, forse un bel balzo per la ricerca scientifica sulla vitiligine e per tutti i pazienti che sono affetti da questa patologia.

DR. MATTEO BORDIGNON DERMATOLOGIA E RICERCA

La proteina MIA

Il normale ancoraggio dei melanociti alla membrana basale mediato dalle integrine alpha5beta1 è disturbato dal MIA

DR. MATTEO BORDIGNON DERMATOLOGIA E RICERCA

Come inibire la proteina MIA

Il meccanismo d’azione completamente innovativo che, per la prima volta, riesce a bloccare una delle principali cause della vitiligine

Il Dr. Bordignon svolge la sua attività come dermatologo libero professionista solo in presenza ed esclusivamente in Italia, presso strutture sanitarie di eccellenza, nelle città di Padova, Thiene (Vicenza) e Bassano del Grappa (Vicenza).

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